Buonasera, Shadowhunters!
Beh… era previsto che pubblicassimo questo extra ieri, ma sfortunatamente abbiamo avuto dei problemi tecnici – e ci è toccato rimandare a oggi. :/
Il prossimo (ovvero l’estratto di “The Lost Book of the White”) arriverà domani/dopodomani. <3
Il racconto che vi presentiamo oggi è tra gli extra che erano stati inseriti in alcune edizioni di “Red Scrolls of Magic” (“La Mano Scarlatta”, che la Mondadori ha pubblicato il mese scorso). In caso vi foste persi la lettera che Magnus ha scritto ad Alec, potete leggerla qui.
Buona lettura! <3
Quasi quattrocento anni fa, Magnus aveva un solo amico al mondo, lo stregone Ragnor Fell. Era stato Ragnor a insegnargli cosa significasse essere stregoni: potere, certo; capacità di alterare lo spazio e il tempo per i propri fini, sicuro; ma anche solitudine, pericolo costante, una vita di vagabondaggi. Uno stregone non riceve mai un caloroso benvenuto, gli aveva detto Ragnor. Gli altri Nascosti non si sarebbero mai fidati di lui. Gli Shadowhunters avrebbero potuto catturarlo, torturarlo e ucciderlo senza ricevere alcuna punizione. I vampiri erano divisi in clan, i licantropi in branchi e le fate in Corti, ma gli stregoni se ne stavano sempre da soli.
A Magnus non piaceva Leonberg. Aveva visto assai poco del Sacro Romano Impero ma, in base alla sua esperienza, era pronto a definirlo tremendamente sopravvalutato: il clima era freddo e umido, il cibo pesante e insipido, le persone sospettose e provinciali. Era giunto lì in risposta alla richiesta di un piccolo proprietario terriero che aveva avuto bisogno di Magnus per migliorare i raccolti e la fecondità dei suoi maiali, dietro un compenso assai più grande di quello che magie simili avrebbero meritato. A Magnus ci erano voluti circa quindici minuti, e adesso se ne stava a bere della birra insipida nel giardino di un locale insipido davanti alla Steinhaus, la prigione di Leonberg, accovacciata come un troll arrabbiato contro il cielo grigio piombo. Magnus sospirò, bevve e sognò una magia ancora non compiuta che gli avrebbe permesso di scomparire da quel luogo e riapparire in un posto caldo e piacevole: Parigi, magari, o da qualche parte nell’Italia del Sud.
Le sue fantasticherie a occhi aperti vennero interrotte dal baccano proveniente dalla Steinhaus. Un gruppo di uomini vestiti con la livrea locale stavano trascinando all’esterno una donna dall’aria scarmigliata. La trascinarono dietro l’angolo della prigione e svanirono alla vista. Proprio mentre scomparivano, Magnus notò che la donna era incantata, e che sotto quella magia aveva la pelle di un blu luminoso.
Sorseggiò la sua birra. Gli tremava la mano. Nella sua testa, la voce di Ragnor gli spiegava severamente che avrebbe fatto meglio a badare a se stesso, che non c’era niente da guadagnare dal mettersi a rischio per salvare un estraneo.
Prese un altro sorso di birra.
Poi, con un movimento brusco e deciso, sbatté il bicchiere sul tavolo, si alzò, bestemmiò rumorosamente in malese, francese e arabo e raggiunse a grandi passi la prigione.
Anche a distanza di secoli non avrebbe dimenticato le urla della strega blu mentre i suoi capelli prendevano fuoco. Magnus cominciò a correre non appena sentì una voce maschile proclamare con fare inflessibile che per ordine del sistema giudiziario di Leonberg quella donna era colpevole di stregoneria e di aver fatto festa coi diavoli, e che dunque era stata condannata al rogo.
Qualche popolano era lì a guardare la scena con fare inebetito, ma le pire di streghe non erano più una grande novità, da quelle parti, e la giornata era granché. Nessuno si mosse mentre Magnus si scagliava contro il fuoco, le cui lingue arancioni si stavano ora alzando ben sopra la testa della strega blu. Nessuno tentò di bloccarlo mentre pronunciava delle protezioni magiche, non sapendo neppure se avrebbero funzionato, e neanche lo fermarono quando sistemò un piede sulla catasta bruciante di legna e saltò nella pira.
La sua pelle poteva pure essere protetta, ma i suoi vestiti presero immediatamente fuoco. Magnus scrollò via il fastidio e afferrò le corde che legavano la donna: le dissolse in scintille di magia blu. Lei portò lo sguardo su di lui e vide i suoi occhi da gatto. Il terrore si mischiò alla sorpresa mentre Magnus la circondava con le braccia e si preparava a saltare giù dalla pira.
“Salve,” le mormorò all’orecchio. “Quando toccheremo terra, per favore, rotola su te stessa per spegnere le fiamme.”
Senza aspettare la risposta, saltò, trascinandola con sé. Caddero con un tonfo nel fango freddo vicino alla pira e si rimisero goffamente in piedi, schiacciando le fiamme. I vestiti di entrambi si erano anneriti e ora cadevano loro di dosso.
Fino a quel momento, i soldati incaricati di portare a termine l’esecuzione erano rimasti immobili per la confusione; adesso, però, stavano cominciando a recuperare i sensi e a tirar fuori le spade. Con un nuovo tipo di orrore crescente, Magnus si rese conto che due dei soldati erano ricoperti dalla testa ai piedi di rune, nascoste alla vista dei mondani lì presenti con un incantesimo.
Guardò la donna. “E adesso?” urlò sopra i ruggiti delle fiamme e le grida della folla.
Lei strabuzzò gli occhi. “E adesso?” ripeté urlando. “Questa è la tua operazione di salvataggio!”
“Non ho mai fatto niente del genere prima!” le gridò lui in risposta.
“E se corressimo?” suggerì la donna. Magnus la guardò con aria stupida per un momento, e lei scosse il capo. “Buon Dio, sono stata salvata da un idiota!” Si voltò verso la folla, protese le mani e lasciò che nubi di fumo blu le uscissero dai palmi, allargandosi rapidamente in nuvole spesse. Le urla dei soldati divennero più confuse.
“Sì, penso vada bene! Buona idea!” rispose Magnus. La donna alzò gli occhi al cielo e corse. Magnus la seguì, domandandosi quanto alla svelta avrebbero trovato rifugio e se quel sarto di Venezia avesse ancora abbastanza di quel broccato da realizzargli un nuovo cappotto.
Ragnor li raggiunse diverse ore più tardi, in una taverna sulla strada per Tubinga. Nel frattempo loro si erano procurati dei nuovi vestiti, si erano asciugati e Magnus aveva scoperto qualche nuova informazione sulla donna che aveva salvato. Si chiamava Catarina Loss; era arrivata a Leonberg per curare un’epidemia di peste; era stata scoperta mentre toccava un paziente con le mani che brillavano e l’avevano subito arrestata in quanto strega. A Leonberg, aveva spiegato, andavano proprio pazzi per i roghi di streghe.
“Ogni luogo in Europa è impazzito per i roghi di streghe,” fece notare Ragnor, scorbutico. Era ovviamente arrabbiato con Magnus, ma altrettanto ovviamente gli piaceva questa Catarina, e i due avevano raggiunto molto alla svelta un rapporto piacevole quanto quello che Magnus aveva con entrambi. Per sfortuna, l’argomento che amavano di più attualmente era quanto fosse stato stupido Magnus a buttarsi in quel salvataggio.
“Ma ti ho salvato la vita!” protestò lui.
“E che salvataggio incredibilmente attento e discreto è stato,” ribatté Ragnor. “Come pensi che sia riuscito a trovarvi? Nel giro di qualche minuto ronzava la voce che un vile mago era piombato dal cielo sulla città di Leonberg in sella a una nuvola nera, aveva attraversato in volo una pira ardente e aveva estratto una strega disgustosa dalle fiamme che avevano il compito di santificarla.”
“Dunque dovremo restare lontani dal Sacro Romano Impero per un po’,” commentò Magnus con una scrollata di spalle; sorrise. “Non mi mancherà.”
“Occupa metà dell’Europa!”
“È davvero sopravvalutata, l’Europa.”
Catarina interruppe lo scambio per posare una mano sul braccio di Magnus. Lui la guardò e vide che aveva l’aria seria. “Grazie, però, sul serio,” gli disse. “Essere uno stregone è terribile, oggigiorno.”
“Anche per me è un’esperienza piuttosto recente,” le rispose Magnus. “Ma il qui presente Ragnor dice che dovremmo andarcene ognuno per conto nostro.”
“Però dovremmo aiutarci a vicenda,” osservò Catarina. “Dal momento che non ci salverà nessun altro. Né gli altri Nascosti, né i mondani, e certamente non gli Shadowhunters.”
“Che marciscano tutti all’inferno,” si inserì Ragnor. Ma la sua espressione si era ammorbidita. “Ci andrò a procurare molto altro da bere. E non sono contrario a viaggiare tutti insieme, per ragioni di sicurezza. Per il momento. Ma in genere non tollero di farmi degli amici.”
“Eppure,” commentò Magnus, “sei stato il mio primo amico.”
Catarina gli fece un piccolo sorriso. “Magari lo diventerò anche io. Qualcuno deve pur impedirti di renderti completamente ridicolo.”
“Senti, senti,” disse Ragnor, finendo il suo bicchiere. “Sei un idiota.”
“Mi piace,” rivelò Catarina a Ragnor. “C’è qualcosa di virtuoso in una persona che non volta le spalle al pericolo neanche quando dovrebbe. In una persona che, quando vede qualcuno soffrire, sceglierà sempre di gettarsi tra le fiamme.”
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